Equipaggio
- Camilla Cignitti, CAPITANO
- Emiliano Lattanzi
- Demetrio Bagnani
- Xhaneto Shllaku
- Matteo Segatori
- Nicusor Doca
- Giovanni De Dominicis
- David Segatori
- Kristian Zoto
- Francesco Onori
Ho notato molta collaborazione, un cambiamento di stile, partecipazione e solidarietà, coinvolgimento.
Prestecata o ‘Mprestecata in italiano significa “pietra sprecata”, cioè pietra inutile, vana. Il nome della contrada risale intorno all’anno Mille, quando piazzetta di Pietra Sprecata veniva impiegata come luogo di deposito dei materiali di costruzione e manutenzione per la Rocca Abbaziale, poiché solo da qui era possibile trasportare agevolmente il materiale verso il torrione del castello.
L’attuale ingresso nei pressi della chiesa di Santa Maria della Valle, infatti, fu costruito solo secoli più tardi dai Borgia. Probabilmente i sublacensi, osservando che quelle pietre erano destinate alla fortificazione del palazzo, e quindi a un miglior controllo del territorio, ne deridevano l’intenzione, quasi a dire che tentare di esercitare più potere su di loro sarebbe stata cosa inutile e irrealizzabile. Per questo quelle pietre venivano considerate sprecate, inutili.
“Sprecata”, però, potrebbe anche essere la deformazione dialettale dell’aggettivo “sfregata”, cioè levigata, lastricata, e quindi alludere al tipo di pavimentazione di una parte della contrada.
In epoca medievale Prestecata, come ogni altra contrada, era un quartiere chiuso, cioè delimitato da mura difensive e punti di accesso controllati. Le porte erano quattro e situate nelle attuali via della Forma, via Palestro, via Fossa Cieca e via del Torrione e via Milazzo. La parrocchia era il centro della vita religiosa, ma anche amministrativa e civile.
La chiesa di contrada era quella di San Giovanni Battista, mentre quella fuori le mura (che sorgeva dove attualmente è situato il palazzo Moraschi-Piatti e fino al 1804 fu utilizzata anche come luogo di sepoltura) dedicata a San Martino di Tours, era frequentata dagli abitanti più periferici.
Prestecata ospitò anche Giovanni Torquemada, al quale nel 1450 circa fu affidata l’abbazia.
Il cardinale, zio del più famoso inquisitore Tomàs, in attesa che terminasse la ristrutturazione del complesso abbaziale, alloggiò nel palazzo con le bifore all’angolo tra la piazzetta e la scalinata di Via Palestro.
Come la maggior parte dei sublacensi, anche gli abitanti di Prestecata erano contadini. Una delle attività familiari più diffusa era la tessitura. La canapa era largamente coltivata, soprattutto lungo i terreni vicini al fiume Aniene. Da questa si ricavavano tessuti per realizzare lenzuoli, sacchi, corde e abiti. E a Prestecata numerose erano le famiglie che si dedicavano alla filatura e alla tessitura.
Oltre alle parrocchie, i luoghi di ritrovo e di socialità erano le bettole, cioè grandi cantine dove, dopo le fatiche del giorno, ci si ristorava, si giocava a carte e, soprattutto, ci si riscaldava. Si trattava di cameroni con volte a botte e grandi focolari. Le bettola poteva essere una qualsiasi cantina dove c’era vino da vendere. Capitava che i contadini producessero quantità di vino superiori al loro consumo domestico, così per non sprecarlo cercavano di venderne la quantità in eccesso. Successivamente vendita e consumo furono regolamentati. Chi voleva vendere vino, alla mescita o a portar via, doveva appendere sulla porta della sua cantina una fraschetta ed un lume acceso. La frasca identificava il luogo come punto vendita di vino, mentre la luce occorreva per diradare il buio pesto, che di notte incombeva su Prestecata e tutta Subiaco.
Marcia del Rione
Siamo i subbiacciani di sempre, i puri! Prestecata nostra è come il fiume: lunga e stretta. È la saetta che vi colpirà, daju Riò a piazza Palma, i subbiacciani veri li trovate lì. È lì che batte il cuore di Subiaco. Né a monte, né a valle, nessuno ci ha mai domati, e oggi ne avrete prova.
Partecipare può essere nobile, ma noi siamo qui per vincere!
A Prestecata la vittoria, a San Lorenzo la gloria!